Piccolo il mio, grande il nostro

O del perché parliamo ovunque di linguaggio inclusivo, ma non soltanto noi. Prendiamola larga.

A Barga, piccolissimo comune della Toscana si trova un Duomo, costruito a partire dall’anno mille. Sulla facciata del campanile c’è una lapide commemorativa, in cui Pascoli parla dell’attitudine dei barghigiani ad essere frugali con ciò che era loro, ma prodighi nel costruire qualcosa che sfidasse il tempo, per tutti. 

I tempi ci invitano ad un cambiamento del nostro modo di concepire il linguaggio, a pensare in grande per quanto riguarda ciò che è di tutti, e il linguaggio certamente  lo è.

Ci sia permessa qui, una corsa tra i testi.

Universitas – totalità

L’attenzione che si sta sviluppando da alcuni anni sulle questioni che riguardano il cosiddetto linguaggio di genere e il linguaggio inclusivo, non è espressione di una questione ideologica, ma si riferisce a una riflessione filosofica e psicologica che ha decenni di storia e di studi.

[Si vuole quindi]utilizzare lo strumento specifico dell’essere umano, il linguaggio, come strumento e veicolo che spezzi fenomeni di ineguaglianza e discriminazione e contribuisca a restituire dignità e, soprattutto, visibilità, a categorie che sono state storicamente e culturalmente silenziate e “oscurate”. Secondo molte studiose (si veda ad esempio il lavoro di Cecilia Robustelli) esiste un sistema di dissimmetrie semantiche, ovvero termini che veicolano modelli stereotipati dei sessi), e dissimmetrie create a livello grammaticale, come ad esempio il maschile inclusivo (e anche esse veicolano modelli stereotipati dei sessi).

È del luglio 2023 la pubblicazione della Guida pratica per una comunicazione inclusiva del Politecnico di Torino, che contiene le righe che abbiamo estratto qui a cura di Norma De Piccoli. L’idea, tutt’altro che teorica, è quella di fornire strumenti per rendere semplice il linguaggio, anche in ambito istituzionale, in modo inclusivo. Il bisogno di semplificare spesso porta con sé, quando fatto senza cura, un impoverimento dei tessuti connettivi linguistici. Il Politecnico, e molti altri Atenei, cercano invece una strada di ascolto, in cui si aggiungano attenzioni, non si tolgano.

È interessante che gli Atenei italiani si stiano muovendo in questa direzione, recependo una voce autentica che non può essere derubricata a moda del momento.

Analogamente nei presupposti e con qualche scelta diversa UniGe ha redatto le proprie e i comuni di Milano, Padova, Bologna, giusto per citare le ultime pubblicate, hanno promosso delibere e modifiche alla documentazione amministrativa per aumentare l’ascolto sulle tematiche relative all’inclusione.

 

Alcune delle osservazioni che sono spesso sollevate rispetto all’uso del linguaggio inclusivo sono:

1. suona male.

Le parole diventano tanto familiari quanto più sono utilizzate. Alcune espressioni possono risultare meno comuni, ma un uso frequente consente di superare la perplessità iniziale

2. mette in pericolo la lingua italiana.

La lingua è un sistema in continua evoluzione che si modifica nel tempo, assecondando le influenze culturali e le esigenze di nominare inedite realtà. Il linguaggio inclusivo non mina la ricchezza della lingua italiana, semmai ne valorizza le possibilità, nel pieno rispetto delle norme;

3. non è una priorità

Il linguaggio inclusivo è parte delle azioni che alimentano il piano per l’uguaglianza di genere. ll linguaggio è la forma di espressione con cui ci relazioniamo con le altre persone e attraverso cui si diffonde la cultura e la conoscenza che caratterizzano la missione delle università. Il linguaggio inclusivo contribuisce a rendere l’ambiente di studio e lavoro rispettoso di tutte le diversità.

Università IUAV di Venezia

Nel dibattito pubblico che si fa su questi temi siamo spesso condott nel pensiero che inclusione nel linguaggio sia interamente un problema di maschile sovraesteso o più genericamente di genere. Su questo tema, Atenei e grandi gruppi si muovono nella direzione dell’ascolto.

L’Università di Padova, sul suo sito web, ha una pagina dedicata al linguaggio inclusivo in cui leggiamo:

La costruzione di un contesto inclusivo richiede il ricorso ad un linguaggio che faccia riferimento ai modelli concettuali maggiormente accreditati e a quanto sostenuto dagli organismi internazionali a cui anche il nostro Paese fa riferimento, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Comunità Europea.

In questa rapida carrellata non esaustiva parlano solo le Università?

E le aziende, quindi, col linguaggio inclusivo come se la cavano?

Fastweb ci prova, facendo un passo verso un cambiamento di linguaggio espresso.

Il linguaggio può rappresentare uno strumento per costruire relazioni e per consentire delle proficue collaborazioni che portano all’innovazione, ma anche essere l’elemento che produce barriere ostacoli, creando un clima ostile, poco piacevole e controproducente.

È un approccio basato sull’utilità, fattore indispensabile nella comunicazione aziendale. Intesa San Paolo invece ha realizzato una Guida per parlare della disabilità. Si intitola “Le parole giuste” ed è stata liberamente tratta, adattandola alle caratteristiche della lingua italiana, dalla Disability Language Style Guide redatta dal National Center on Disability and Journalism dell’Arizona State University.

E poi certo, la P&G, che su questi temi è presente da anni

Per il settore privato è chiaro il vantaggio a fronte di una società e di contesti lavorativi in continua evoluzione e con sempre maggiore attenzione alla diversità e alle eventuali vulnerabilità, risulta cruciale adattare la struttura e la cultura aziendale al fine di rendere l’ambiente lavorativo aperto a tutte le risorse. L’eterogeneità, infatti, accompagnata da un processo di inclusione, permette di migliorare le performance aziendali e, di conseguenza, la performance finanziaria. Non solo buone pratiche di D&I attraggono talenti, investitori e consumatori, ma coadiuvano i processi innovativi e creativi, migliorano il clima interno, valorizzano l’equity di marca e la reputazione dell’azienda.

Le aziende hanno bisogno di decidere come parlare alle persone che lavorano per loro, e per tutte quelle fuori dai loro uffici.

Le aziende hanno bisogno di cominciare a cambiare un pezzo di mondo alla volta, partendo dalle parole.

E come?