Emancipazione, desiderio, condizione femminile

È di questo che parla il film di Yorgos Lanthimos?

L’emancipazione della condizione femminile è affrontata apertamente dalla trama, ma il nocciolo del film è più profondo. È ciò che permette il definirsi stesso dei concetti, la loro validazione, la loro esistenza – e, alla rovescia, la loro negazione e il loro superamento.
Poor Things parla di linguaggio, linguaggio inclusivo.

Bella Baxter è una creatura nuova e come tale deve apprendere a vivere.
Con il cervello di un feto impiantato nel corpo di una giovane donna, Bella ha comportamenti infantili e, proprio come un neonato, deve imparare a mangiare, a camminare; a parlare. Le scelte registiche segnalano la sua condizione: il grandangolo denatura la percezione della realtà, il bianco e nero evoca i primi stadi della vista umana, la colonna sonora stride e si mescola agli oggetti che Bella colpisce come fanno i bambini.

Dare nomi alle cose

La villa del suo creatore, il chirurgo Godwin Baxter, è popolata da altri esperimenti, come il cane-gallina: animali che non hanno un nome e che – esistendo – reclamano di averlo.
God è il demiurgo che dà vita alla materia. Una materia nuova, da battezzare, da nominare, da cantare. Crea la vita, crea nuovi concetti, crea neologismi. Il vero quesito che ci rivolge il regista greco è tutto relativo al linguaggio.

Fuori dalla sala, quando parleremo del film, come chiameremo queste creature di cui la pellicola è popolata?

Mano a mano che Bella impara a mangiare – in modo animalesco e senza vincoli educativi –, a camminare – zoppicando, per un’altra buona parte di film –, e a parlare – in modo abbozzato e approssimativo – anche le scene si tingono di colori vividi e innaturali, di nuove lenti, di una musica stramba ma più completa, mentre la protagonista scopre il suo corpo e se ne appropria.

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il linguaggio inclusivo in Poor Things

Ora che sa definire le cose e se stessa, Bella esce a scoprire il mondo e nel mondo cresce, del mondo parla e nel mondo parla.

Si afferma, sceglie, si ribella.

Sfrutta un linguaggio che diventa sempre più articolato e coltivato, arricchito di subordinate, di sinonimi di sinonimi, di terne di aggettivi.

Nelle sue peripezie in giro per il mondo, Bella passa da prostituta ad attivista: ai suoni infantili, ai versi animaleschi, ai gemiti sessuali, si sovrappone ora l’arte della dialettica e la coscienza linguistica. L’uso consapevole della parola la nobilita, le conferisce il potere di suo padre God, è ora in grado di scrivere la sua storia e soprattutto di scrivere e descrivere un mondo che è a sua misura.

Questioni di linguaggio inclusivo

Le indagini sul linguaggio si dipanano lungo il film, la cui estetica sembra imitare lo stile cinematico dei prompt di Midjourney, con Bella che vomita alla vista del panorama saturo di Lisbona. L’epoca vittoriana si fonde allo steampunk passando per scalinate alla Escher e scenografie da palcoscenico, attraverso una fotografia che deforma e distorce, perché – in fondo – quale rappresentazione del mondo sarebbe la più reale se l’esperienza del reale è determinata dai significati che attribuiamo al mondo?

Emancipazione, desiderio, condizione femminile.
Poor Things non parla di queste tematiche tanto quanto riflette sul potere che il linguaggio ha di determinarle.

Bella è una creatura nuova, vergine in tutti i sensi, scevra dei condizionamenti sociali, atta quindi a raccontarci l’imprescindibile importanza della lingua.
Le parole e il loro uso conferiscono identità, validano concetti, li negano, includono o escludono. Le parole definiscono il mondo di cui si fa esperienza creando l’esperienza stessa del mondo.

Poor Things, Leone d’Oro e quattro statuette, ci racconta che la conoscenza linguistica del mondo dovrebbe essere coltivata: valutata, rivista, arricchita.
L’uso del linguaggio è ancora povero e stretto. Ma, sull’esempio di Bella, conosciamo ora tutte sue potenzialità del linguaggio inclusivo.