“Quanti anni hai?” Può sembrare una domanda innocente, di quelle che servono per rompere il ghiaccio ed entrare in relazione con l’altro. Quelle domande che quasi ti aspetti, prima o poi, eppure in molti casi la risposta a questa domanda è la porta dell’esclusione.

Basta una decina di anni in più o in meno per determinare gli equilibri della conversazione, per farle prendere una piega che può sgualcire la giornata.

L’età è un numero e come tale dovrebbe essere trattata. Un indicatore del tempo che ci separa dalla nascita e dalla morte. Il nostro relazionarci all’età, in questo magnifico mondo eternamente giovane, ci porta a scontrarci con l’ageismo.

Ageismo e inclusività

L’ageismo è la forma di discriminazione più strisciante e silenziosa dei nostri tempi. Si muove tra le più eclatanti con la discrezione e la fredda determinazione di un tiratore scelto che mira a escludere una o più persone a causa dell’età. “Ok boomer” non è più una battuta da Gen Z che prendono in giro chiunque abbia qualche anno in più, è uno stigma, un ostracismo intollerabile.

Secondo il “Report on Ageism”, redatto dall’OMS, la discriminazione legata all’età è un problema per il 50%  delle 83000 persone intervistate, distribuite in 57 paesi del mondo. Un dato importante che diventa anche più preoccupante se si pensa che dalla ricerca “Putting the Worker Age Front and Center: A Multidimensional and Nuanced View of Age in Organizations” condotta da Ashley E. Martin della Stanford Business School, molti professionisti mostrano ancora dei pregiudizi nei confronti dei propri colleghi senior, pur dichiarando di avere un atteggiamento inclusivo in fatto di genere ed etnia.

Tutto ciò non è solo limitato al mercato del lavoro da cui gli over 55 sembrano essere esclusi ma invade la sfera completa delle interazioni.

Nella comunicazione e nel marketing il posto riservato ai senior si assottiglia fino a scomparire, l’avanzare dell’età sembra una colpa, una macchia indelebile sui nostri visi che dovrebbero assomigliare al mondo patinato di Cosmopolitan. Eterni trentenni.

Questa contraddizione crea un problema di inclusione molto sentito e che va oltre i fisiologici conflitti generazionali.

Un linguaggio inclusivo senza età

L’ageismo può essere sconfitto mediante un uso attento e coscienzioso del linguaggio inclusivo. Accogliere le istanze di tutte le fasce d’età che si avvicinano a un brand può fare davvero la differenza, soprattutto se ci si muove in comparti come Beauty e Fashion.

L’età è un valore aggiunto, racconta esperienze, storie e valori che possono essere accolti e condivisi da un brand attento alle persone.

Il progetto In-scrivo si propone di abbattere i pregiudizi legati all’ageismo e a ogni forma di discriminazione proprio attraverso un linguaggio inclusivo e calibrato sui valori di ogni brand.

Se è vero che le parole creano mondi, noi possiamo In-scrivere tutti gli universi possibili. Anche i più antichi.