Non c’è bisogno di appartenere alla Gen Z né di ascoltare musica pop: quest’estate a nessuno è sfuggito il termine brat.

Brat, con un font di merda, una palette di merda, una scritta sgranata che ripugna anche chi improvvisa le grafiche su Canva.

Brat è quel tipo di noncuranza che elude l’estetica, bistratta l’immagine, il testo, la comunicazione. Perché il messaggio si trova altrove, deve essere altrove, funziona quando è altrove.

Dozzinale autentico

Antitesi di Taylor Swift e figlia della Boiler room, la cantante britannica Charli XCX incarna l’attitudine brat con cui ha intitolato il suo album: anticonvenzionale, autoironica, autentica.

Perché l’estetica brat è, nel suo essere dozzinale, autentica.
Non si avvale di consuetudini o regole: nessun requisito minimo della qualità di stampa, nessuna immagine da popstar stereotipata in copertina, nessuna maiuscola. Addirittura Kamala Harris (che non è brat solo perché Charlie XCX l’ha definita così, ma lo è perché ha saputo accogliere l’estetica del meme nella sua campagna elettorale) è solo kamala.
Senza fronzoli, senza costruzioni, senza lasciare che un orpello visivo che veicola un titolo possa definire un’intera persona.

Charli XCX ha affermato di aver scelto un colore:

“di una tonalità di verde offensiva e disturbante, che potesse innescare l’idea che qualcosa non andasse.”

Senza maiuscole

Nella sciatteria c’è coscienza, nella trascuratezza una dichiarazione politica.
Un appello a un mondo che potrebbe essere più facile: senza troppe regole, senza troppi costumi. Senza tutti quei costrutti sociali da decostruire.

senza maiuscole.

Così la Gen Z si esprime sui social: in minuscolo, senza punteggiatura, senza copy studiati, pubblicando foto sfocate, grafiche sfocate, caroselli di scatti che mostrano il quotidiano delle loro vite, nel bene e nel male, tra i momenti no e la spontaneità dell’euforia, tra l’alcool e il tavolo di un bar di una mattina in remote working, nella loro diversità, autenticità, orientamento sessuale, identità di genere, aspettative di vita, famiglia, lavoro, guadagno – tutto ciò che incredibilmente disattende quanto costruito dalle generazioni precedenti.

E lo fanno in modo divertente e dispettoso, un sovvertire le regole che appare come un’ovvietà con cui giocare e che sbeffeggia chi è rimasto vincolato a idee obsolete, e vorrebbe argomentare, e parlare studiato, e nel lavorare dentro a regole e convenzioni perde solo più tempo, e non è mai se stess.

Linguaggio brat

Chi è brat lo è non perché non ha basi culturali o capacità di pensiero critico, ma proprio perché a partire da questo decide intenzionalmente questa via di espressione.

Si è discusso di quanto Charli XCX si sia configurata come nemesi di Taylor Switft, che ha costruito la sua carriera su un’immagine di donna stereotipata, in ordine, truccata.

Ma, soprattutto, il verde brat si oppone al rosa Barbie dell’anno passato.
Si oppone a una Greta Gerwig che è la regista hollywodiana pioniera dei nostri anni, che per parlare di emancipazione femminile ha affiancato un prodotto commerciale per eccellenza, filosoficamente criticabile, a un’analisi socioculturale estetica e di linguaggio, volendo addirittura omaggiare il Kubrick di 2001: Odissea nello spazio all’inizio della sua pellicola. Un’analogia che vede nel monolite nero una nuova era di identificazione, ammirazione, aspirazione per il genere femminile.

Ma quanti degli incassi del film hanno colto la citazione? E quanto Barbie è un film davvero riuscito?

Qualità e comunicazione

La raffinatezza, lo studio approfondito, la ricerca, la qualità non pagano più, non aiutano, non comunicano. Questo sembra dirci il fenomeno brat.

O peggio: brat è brat perché questo lo sa, perché se ad andare virali sono i contenuti di scarsa qualità dobbiamo sprecare tempo dietro al comunicare curato?
Questo messaggio crea un cortocircuito. La risposta è il problema stesso e infatti brat è andato virale.

Dove si colloca questa riflessione così pessimista per chi fa comunicazione di qualità e chi riflette sul linguaggio?

Crediamo che qui si nasconda un messaggio grande e positivo.
Che in fondo dovremmo descriverci e descrivere sempre al minuscolo.
Ridimensionarci. Non per prenderla alla leggera ma per avere la possibilità di ingrandirsi nuovamente, accogliendo la verità, la diversità.

Charli XCX è prima di tutto una figura stimata all’interno della comunità LGBTQ+. Il fenomeno brat, con il suo verde gender fluid, celebra l’autentico, accetta l’eterogeneità di cui si compone il mondo, ne accoglie le imperfezioni, il suo essere in divenire. E lo esprime attraverso i segni, visivi e scritti.
Segni che, come appena detto, sono in continuo divenire: oggi dall’aria trascurata, domani non più, in entrambi i casi risonanze di un linguaggio che cambia perché ha necessità di cambiare.

Noi continuiamo a scrivere, e continuiamo a farlo bene.