Indovina chi.
Chi non comprerebbe mai una crema per il viso.
Chi non mangia snack, merendine né beve bibite gassate.
Chi non indosserebbe mai un costume da bagno a due pezzi. E forse neanche un gioiello.
Chi non guiderebbe un’auto elettrica, chi non vuole un robot per pulire, non ha un abbonamento a Netflix e non seguirebbe un corso di pilates.
Chi è questo profilo che sfugge al target pubblicitario ed è immune a un così elevato numero di prodotti?
Una sorta di anti buyer persona, pronta a mettere in crisi le regole del marketing.
Se non fosse per una serie di immacolati prodotti che sembrano gli unici di suo interesse: dentiere, apparecchi per l’udito, candeggina, e poi un dado per il brodo, i biscotti alla frolla, del formaggio fresco. E tanti, tanti, tanti panettoni.
Le persone anziane non vanno al mare
Questo elenco di stereotipi vi ha permesso di visualizzare con facilità le persone dietro a queste immagini semplicistiche: donne anziane e uomini anziani che sorridono a tavola con nipoti, e sono sempre sagge, nostalgiche e, com’è ovvio, conservano i segreti della tradizione.
La narrazione pubblicitaria ha dipinto un immaginario di persone che non fanno uso di cosmetici o gioielli, non guardano i film moderni su piattaforme moderne, e all’apparenza non acquistano nemmeno regali per famigerati e famigerate nipoti, quelli e quelle che tengono in braccio quando mangiano il panettone. Anche se hanno potere d’acquisto, interesse emotivo e un buon numero di relazioni affettive e sociali.
Le influencer virtuali vanno al mare
C’è un’altra categoria di utente che incarna la nemesi della buyer persona.
Le influencer virtuali. Che non invecchiano, non ingrassano, non si ammalano. Non hanno alcuna esigenza reale: non hanno bisogno di comprare beni come macchine o case, tantomeno un costume da bagno. Seppur, magari, nei loro post le vediamo posare in spiaggia, calcando altri tipi di stereotipo.
Questi profili falsi, generati da intelligenze artificiali, hanno sui social pagine come le nostre e, come noi, finiscono nelle audience della campagne di marketing. Ma come può una crema per il viso convertire una donna, 25 anni se il profilo è quello di Lil Miquela?
La sostanza contro la vecchiaia
Questi profili falsi perpetrano significati e significanti diversi da quelli a cui sono soggette le persone reali.
Un reame estetico immobile, dove invecchiare è un presagio nefasto. Una società in cui l’avanzamento dell’età è paragonabile a una patologia da curare: con le creme, con la chirurgia estetica, con la biotecnologia, con la medicina della longevità. Con la sostanza.
In The Substance, l’ultimo film di Coralie Fargeat, due versioni della stessa persona si danno il cambio a settimane alterne, grazie al patto col diavolo che la protagonista cinquantenne ha stretto per riottenere la sé giovane. La regia butta sullo schermo la mutevolezza di un corpo che diventa disgustoso, aberrante, che marcisce. Come se solo l’estetica provocatoria e stomachevole del body horror fosse in grado di risvegliare lo spettatore, assopito dallo scrolling infinito e dalle AI influencer.
Il messaggio è chiaro: i canoni estetici sono distruttivi, la vecchiaia è demonizzata, ma raccontarlo soltanto non basta. È un dramma da urlare, che buca gli schermi e, se il cinema lo ha fatto adottando gli stilemi di un genere rivoltante, la pubblicità deve farlo con un cambio radicale di approccio, rivedendo i suoi schemi, interrogandosi, trasformandosi.
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