Rainbow washing

Tutto inizia con il mese di giugno. A dir la verità, anche qualche settimana prima. Improvvistamente tutti, ma proprio tutti i brand iniziano a cambiare per restare sostanzialmente uguali, ma con una bandierina arcobaleno. La grande battaglia, purtroppo ancora molto difficile e sofferta, della comunità LGBTQIAP+ viene troppo spesso messa al servizio del marketing alla disperata ricerca di nuove fette di mercato.

Il rainbow washing, insieme alle altre perversioni markettare, è la dimostrazione che molti concetti legati all’inclusività e ai diritti civili sono oggetto di un colossale e superficiale fraintendimento. Non si tratta solo del logo e del post social ruffiano, neppure la limited edition colorata è da sanzionare quanto la temporaneità e la mancanza di reali iniziative a sostegno delle persone discriminate per le proprie scelte sentimentali e relazionali.

 

Il brand activism mostra la corda 

Facciamo un passo indietro. Per poter parlare di rainbow washing, dobbiamo quantomeno rianimare l’ormai agonizzante brand activism, quell’irrefrenabile necessità della marca di avvicinarsi al pubblico condividendo apertamente il sostegno a delle cause specifiche.

Fin qui non ci sarebbe nulla di male, Philip Kotler e Christian Sarkar, nel loro celebre manuale “Brand activism: dal purpose all’azione” (2019) ne hanno descritto e teorizzato le dinamiche in maniera brillante. Ciò che spesso manca e dà un calcio al concetto stesso di inclusività è l’inconsistenza di molte campagne.

Purtroppo, la percezione di opportunismo diventa sempre più forte, soprattutto quando durante i diversi periodi dell’anno un brand lotta per 4 cause diverse e solo in base alle quindicine di programmazione digital e offline media.

Un’inconsistenza che, in alcuni casi, si trasforma in silenzio. Secondo il giornalista Michael Serazio, autore dell’articolo Your favorite brand no longer cares about being woke fa luce sull’assordante silenzio dei brand su alcuni grandi temi come il Me Too e la guerra a Gaza, in netta contrapposizione al fiorire di bandierine arcobaleno.

Come se esistesse una causa più morbida e politically correct dell’altra. Intendiamoci: ogni brand può schierarsi da qualunque parte, è importante però che sia coerente con le cause che sostiene.

Un linguaggio inclusivo e coerente 

Il rainbow washing e più in generale, il washing di qualsiasi natura, può essere efficacemente contrastato con l’adozione di un punto di vista e di un linguaggio inclusivo che dia coerenza e forma alla comunicazione in tutti i giorni dell’anno.

In-scrivo è la risposta all’esigenza di coerenza e credibilità dei brand che decidono di sostenere una causa, senza lasciare indietro nulla e nessuno.

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