Politicamente s-corretto

“Eh, ma non si può più dire niente”, “Mi sa che state esagerando, quanta permalosità” e via scrivendo sono le frasi più frequenti su tutte le piattaforme social e pronunciate durante le interviste ai passanti nei telegiornali della TV generalista. Spoiler alert: non si sarebbe mai potuto dire niente. Secondo la vulgata, il politicamente corretto sarebbe legato a doppio filo con il linguaggio inclusivo e l’inclusività in generale. La realtà è che, se ci riflettiamo bene, non è esattamente così.

Cos’è il politically correct e in che rapporto è con il linguaggio inclusivo

Secondo Ruth Perry, docente di letteratura e attivista femminista nei primi movimenti risalenti agli anni Settanta, l’utilizzo dell’espressione “politically correct”  sarebbe frutto di una traduzione troppo libera di un discorso di Mao Tse Tung del 1957  intitolato “On the correct handling of contraddiction among people”. Eppure, nonostante sia nata così, la definizione di politically correct racchiude anche tutte quelle locuzioni, gli eufemismi, le formule edulcorate che sembrano voler ingentilire il diverso a tutti i costi. Quella forma di puritana ipocrisia che, come faceva notare Natalia Ginzburg  nel saggio “Non possiamo saperlo (1989)” , intossica il linguaggio con locuzioni come “non vedente” e “non udente” a coprire le scabrose parole “cieco” e “sordo”. Il linguaggio inclusivo è esattamente l’opposto perché non solo accoglie gli elementi di diversità, ma li ingloba, comunicandoli in modo che nessuno si senta escluso ma chiamando le cose con il proprio nome. Senza girarci intorno. Utilizzare un linguaggio neutro e libero da demarcazioni e stereotipi non significa fare abbondante uso del “non detto”.

Il linguaggio inclusivo è intellettualmente onesto, cosciente del fatto che viviamo in un mondo di contraddizioni, ed ha la coerenza di sviscerarle con un approccio assertivo. Dire la verità, descrivere le cose, accogliendole nella loro unicità.

L’importanza culturale del linguaggio inclusivo

Il linguaggio crea dei mondi. Va oltre la semplice grammatica e rappresenta i sostrati culturali, le gerarchie sociali di cui esprime le istanze. La sfida linguistica è aperta su tutti i fronti, soprattutto per quanto riguarda l’italiano inclusivo, che non è considerato tale a causa delle sue strutture morfosintattiche e lessicali discriminatorie.

Di contro, il dibattito sull’inclusività linguistica è vivace, come dimostrato dall’adozione del femminile generico da parte dell’Università di Trento, che ha evidenziato l’arbitrarietà del maschile sovraesteso. Un mondo di opportunità quello del linguaggio inclusivo, tutto da esplorare.

E tu, sei sicuro di comunicare in maniera inclusiva? In In-scrivo puoi trovare la risposta.