Com’è andato il compleanno, Facebook?

Nel 2024 il social network per eccellenza ha compiuto vent’anni e come ogni compleanno che finisce con lo zero ha fatto i conti con l’incedere del tempo. Gli studi medico-digitali non hanno ancora determinato a quanto esattamente corrisponda un anno di vita di un social ma è chiaro che Facebook sta invecchiando.

Gli utenti globali della piattaforma hanno ormai smesso di crescere e l’età media è sempre più elevata. La fruizione a cui siamo abituati sta prendendo altre forme, delimitate, sotterranee, più intime.

Le aziende cresciute con Facebook Ads devono far fronte a un graduale spopolamento, a una perdita dell’attenzione. Gli annunci sono affissi lungo una strada desolata, dove i cartelloni pubblicitari si susseguono, uno dopo l’altro, ignorati dalle auto che transitano. Chi è alla guida non rallenta, non si ferma più – come faceva una volta – a commentare quell’annuncio, a cliccare quel bottone, mentre faceva sfoggio della sua persona, dei suoi gusti, dei suoi eventi di vita, delle sue opinioni.
La condivisione della sfera privata in questi spazi pubblici sta venendo meno, come se ci fosse bisogno di un ritorno a una dimensione più intima, più privata, forse anche più reale.

La teoria della foresta oscura

Durante la pandemia, Yancey Strickler, fondatore di Kickstarter, pubblica un articolo che diventa così virale da trasformarsi in un’antologia di recente pubblicazione. Il testo racconta della sua esperienza negativa sul web, un luogo insidioso e tentacolare, che ha preso le sembianze di una foresta oscura.
Nell’ormai popolare trilogia di fantascienza “Il problema dei tre corpi”, da poco adattata anche da Netflix, l’autore Liu Cixin trova una soluzione al paradosso di Fermi.

Se l’universo osservabile è così grande da ospitare altre forme di vita intelligente, perché non siamo ancora entrati in contatto con una di esse?

Luo Ji, protagonista del secondo romanzo, invita a immaginare lo spazio cosmico come una foresta buia, silenziosa, immobile. Potremmo pensare che sia vuota, invece è piena di vita. Gli animali che la abitano sono ovunque, sono nascosti, ritirati al sicuro nelle loro tane, perché nella notte escono i predatori.

Gli annunci, il tracciamento, il retargeting. Il pericolo di esporsi pubblicamente, di cui parla Strickler. Gli haters. E poi i troll, i leoni da tastiera. Le ondate di shitstorm. Le fake news, ora il deepfake. E i titoli acchiappacitrulli. Lo scrolling infinito disseminato di annunci indesiderati e opinioni non richieste. L’hype ingiustificato, la FOMO.

La ferocia di questi comportamenti ha creato un bisogno di allontanarsi dalla visibilità, dall’esposizione gratuita. Sotto al buio cosmico, in antri sicuri, si sono accesi dei falò. Intorno a questi si riscaldano poche persone, a bassa voce, per non farsi sentire. Il calore del fuoco li allieta, parlano e si confrontano come un gruppo di vecchi amici, dove non rischiano di esporsi e possono essere davvero loro stessi.

I falò digitali

Internet è una foresta oscura dove gli utenti si sono ritirati in comunità elitarie e autentiche.
La fruizione del web si è verticalizzata, passando dai social mainstream a canali privati, che in sordina pullulano di vita e attività. Gli utenti restano silenziosi negli spazi aperti del web e conservano i loro pensieri per gli ambienti dove si riuniscono. Abbandonano i feed, dove i contenuti sono seppelliti dall’algoritmo, e fruiscono l’informazione tramite canali privilegiati come podcast o newsletter. Aderiscono a community interattive, gruppi Telegram, bacheche a invito, server Discord: ambienti non indicizzati, che sfuggono alle regole della competizione digitale, spazi che permettono una conversazione autentica, tutelata, più serena.

Nell’articolo The Era of Antisocial Social Media Sara Wilson teorizza questi luoghi intimi chiamandoli falò digitali e li suddivide in tre categorie.

Messaggistica
La messaggistica privata, che può svolgersi su piattaforme tradizionali come Messenger e WhatsApp, dove gli utenti si radunano e possono scambiarsi contenuti in modo più spontaneo e al riparo da sguardi indiscreti.

Microcomunità
Le microcomunità, dove gli utenti si riuniscono intorno a interessi condivisi, che possono andare dai gruppi Facebook ai server Discord dedicati a discussione tematiche.

Esperienze condivise
Le esperienza condivise rappresentate dai mondi digitali orientati verso la socializzazione, come Fortnite o Roblox, utilizzati per interazioni sociali e per condividere esperienze virtuali come concerti.

Mappare i falò

Il pubblico sta transitando dai social media mainstream della foresta oscura verso un sottobosco di falò difficile da mappare. Questi ambienti verticali non sono facilmente accessibili, non sono indicizzati dai motori di ricerca né pubblicizzati dalle piattaforme.
Questo cambiamento presenta una sfida per i brand che si trovano costretti a ripensare il loro approccio. I marchi non sono invitati a partecipare a queste community e un tentativo di inserimento risulterebbe sgradevole, intrusivo, addirittura minaccioso.

C’è un modo per penetrare questi falò digitali e raggiungere i potenziali clienti che si sono trasferiti lì?

L’atteggiamento predatorio degli inserzionisti è ciò che ha portato alla creazione della foresta oscura. Tentare di penetrare queste comunità con messaggi commerciali latenti potrebbe risultare un’ulteriore violenza nei confronti degli utenti che hanno abbandonato i social media mainstream sentendosi poco a loro agio, insofferenti, scomodi, aggrediti.

Chi si occupa di pubblicità deve innanzitutto comprendere le caratteristiche distintive delle nuove community e interrogarsi sulle ragioni del cambiamento.
Le culture di questi spazi, come dice Strickler, hanno più in comune con il mondo fisico che con internet. Ciò che emerge da questa migrazione è il bisogno di luoghi scevri di pubblicità, interattivi, dove le discussioni sorgono intorno a contenuti condivisi e in modo spontaneo, dove sentirsi a proprio agio, come sul divano di casa, come al bar con la compagnia di sempre. In un’altra parola, più umani.

Il falò dei commercianti

Forse, allora, per i brand non è indispensabile affrontare la sfida dei falò digitali.
Lasciamoli proliferare nella foresta oscura, senza intaccare la caratteristica intimità che li ha resi così accoglienti.
Chi fa pubblicità dovrebbe inventare o cercare strumenti in grado di imitare il successo di queste community e che siano capaci di carpire l’attenzione dell’utente là quando è ricettivo, anziché proporsi in un contesto – quello dei falò – dove ogni messaggio commerciale sarebbe visto con sospetto e ostilità.

Una soluzione interessante è il QR Code dinamico. Si tratta di un media che origina dal mondo fisico, restituendo la componente umana che manca al mondo virtuale. E, soprattutto, è capace di intercettare il pubblico là dove è già propenso a recepire annunci commerciali, cioè nello spazio fisico dello store e della consumazione. Lo interpella per proporgli una modalità simile a quella dove si è rifugiato: un QR Code che conduce l’utente in una dimensione verticale, lontana dalle pagine affollate dei social, una dimensione intima, costruita su misura di chi ha appena scannerizzato il codice con una promozione specifica legata a quel momento, quell’orario, quel prodotto: un PDF non tracciabile, una Landing Page fuori menù, un semplice file JPG con la promozione in corso. Uno spazio sicuro, tutelato, dove il consumatore non si sente aggredito e che rispetta e riconosce i bisogni che lo hanno portato a migrare nei falò digitali.