Dell’etichetta, smart o meno, e dei testi dinamici, che vendono.

[e-ti-chét-ta] n.f

Il termine etichetta è intrinsecamente polisemico; assume  significati diversi in base al contesto specifico in cui viene utilizzato, spaziando dall’identificazione e la classificazione di oggetti al rispetto delle norme sociali e al comportamento formale.

Dentro il lemma etichetta, infatti, sono mescolate valenze sociali a ben più stringenti evidenze di prodotto e anche se è di queste ultime che andremo a parlare, è utile ricordare la natura della parola che nasce sì, polisemica ma diventa presto polifunzionale.

Ed identificazione sia

L’evoluzione dell’etichetta come strumento per riconoscere e classificare i prodotti risale ai primi stadi della storia commerciale e manifatturiera, testimoniando una crescente complessità nelle dinamiche commerciali e un progressivo sviluppo della società industriale. Questo processo ha radici profonde nella necessità di fornire informazioni chiare e distintive sui beni e sulle merci,  garantire trasparenza, autenticità e, più tardi, la tutela dei consumatori. 

In differenti forme e materiali i sistemi di identificazione delle merci sono necessari dalla notte dei tempi dei commerci, e non è un caso che presto siano stati oggetto di interesse da parte dei pubblicitari, che hanno visto in loro un’ulteriore opportunità, dentro una legislazione sempre più cogente.

Sì, stiamo semplificando, ahimè.

Dice qui M. Matteoli che 

La semplificazione dei linguaggi genera percezione piatta ed immediata, e rapidità di controllo. Non è un caso che in tutta la letteratura che narra di regimi si pratichi sempre la limitazione del linguaggio – come in 1984 di Orwell. È un esercizio utile per chi vuole detenere potere. Serve a dividere, a polarizzare, a renderci preda di populismi – funzionali o beceri secondo i gusti. Le aziende hanno l’opportunità di usare la propria voce per fomentare un certo rinascimento, che si può originare da considerazione e accoglimento del relativismo linguistico per comprendere la complessità del linguaggio.

 

Si direbbe quindi interessante capire se, e come, questo rinascimento sia possibile anche attraverso l’uso dell’etichetta.

Possiamo cominciare dalle numerose possibilità che oggi ci offrono le smart label, che attraverso spazi fisici di pochi cm quadrati aprono mondi di innumerevoli bit. Questi mondi però vanno riempiti con contenuti di una certa complessità, rifuggendo la semplificisticazione – lemma mio, scusate.

Contenuti creati per assolvere un  preciso compito: vendere.

Vendere di più, vendere ad altre persone che non sapevano di noi, vendere meglio, continuare a vendere anche dopo aver venduto.

Ri-scrivo in effetti è questa grande possibilità di usare la complessità della lingua per generare nuovi flussi di vendita nei retail, attraverso la semplice etichetta smart.

Della sterminata profusione di QRcode, pochissimi, per non dire nessuno, svolge questo compito. Per lo più rimandano ai propri siti web, ai propri recapiti oppure- in qualche fulgido caso- aggiungono informazioni utili al prodotto. Ma non vendono. Non è infatti lo strumento QRcode in sé a favorire le vendite, altrimenti tutti lo farebbero, ma sono certi contenuti testuali, fruibili attraverso il codice, che rendono possibile il cros-selling, e la crescita dei volumi di vendita.

Come siano questi contenuti testuali, nati per vendere, è tutta un’altra storia.

E, per questa, è proprio il caso di incontrarci.